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La crisi di Alitalia: il dettaglio della crisi del marchio italiano e della compagnia tricolore

La crisi di Alitalia: il dettaglio della crisi del marchio italiano e della compagnia tricolore

Aerei

La compagnia aerea di bandiera negli ultimi anni è tristemente diventata lo specchio di un'economia nazionale in seria difficoltà e di scelte politiche e manageriali non sempre condivisibili. In perdita oramai da decenni, Alitalia racconta di un passato trascorso fra sprechi e scelte manageriali discutibili, che hanno prosciugato buona parte dei fondi messi a disposizione dallo Stato, per un totale che sfiora gli 8 miliardi di euro. Malgrado lo Stato, tramite fondi pubblici, sia più volte intervenuto per evitarne il fallimento, ad oggi i conti restano abbondantemente in rosso ed il carburante sembra ad essere ad un passo dal finire definitivamente. Ma a cosa è dovuto il fallimento annunciato di una compagnia che a partire dal 1974 ha avuto l'ardire di prosciugare quasi 8 miliardi di euro? Come detto, la parabola di Alitalia è l'ovvio risultato di tante scelte manageriali disastrose e di una condotta spesso priva di scrupoli da parte di sindacalisti, politici e manager, che non hanno mai rinunciato ad attingere dalle riserve dell'azienda.

L'origine dei guai di Alitalia 
I problemi di Alitalia derivano dal periodo florido degli anni Settanta, da quel boom economico durante il quale amministratori e dipendenti percepivano stipendi da sogno e diarie da capogiro. Gli organici annoveravano migliaia di esuberi (nei periodi peggiori si contavano addirittura 20 mila contrattualizzati) e buona parte delle assunzioni avveniva tramite raccomandazione. Impossibile reggere una situazione del genere e infatti sul finire degli anni Novanta tutti i nodi vennero al pettine, con l'inizio di un progressivo declino. L'aiuto e la connivenza dello Stato e la mancanza di un mercato concorrenziale erano stati i motivi di tanto sperperare: venuti meno tali elementi, Alitalia dovette cominciare a fare i conti con la realtà dei fatti e con debiti accumulati per miliardi di vecchie lire.

Le richieste di Air France e l'intervento della politica
Fra il 1996 ed il 2006 i conti fuori controllo della compagnia conoscono ben tre fallimenti. Per ovviare ai problemi di bilancio e inaugurare una ristrutturazione interna della società, nel 1996 si tenta una prima privatizzazione che, malgrado l'appoggio del governo Prodi, non sortisce gli effetti desiderati. Nel 2006 l'esecutivo di bilancio annuncia la vendita di una parte delle quote allo scopo di salvare la compagnia dall'ennesima bancarotta. La gara d'asta non vede nessuna offerta e l'allora governo Prodi bis tenta di vendere una parte delle quote al colosso Air France-KLM. Tuttavia, il leader dell'opposizione Silvio Berlusconi fa un appello mirato a salvaguardare una compagnia che da decenni costituisce un tesoro nazionale. Il risultato di quest'appello fu il dietrofront di Air France-KLM che comprese in tempo che il prossimo governo non le sarebbe stato favorevole. L'8 maggio del 2008 il partito di Silvio Berlusconi vince le elezioni e a distanza di pochi mesi costituisce una società denominata CAI, acronimo che sta per Compagnia Aerea Italiana. La società è presieduta da un gruppo di imprenditori, tra cui Roberto Colaninno, il gruppo Riva, il gruppo Benetton, il gruppo Ligresti, la famiglia Caltagirone, i Marcegaglia e molti altri nomi di spicco del panorama italiano. Il loro scopo? Rilevare la parte sana del marchio Alitalia e lasciare allo Stato la gatta da pelare. Le quote acquistate dal CAI ammontarono a circa 300 milioni di euro, mentre le restanti quote, pari ad 2 miliardi di euro, andarono allo Stato. Malgrado tutto, neanche questo tentativo raggiunse lo scopo prefissato.

Gli errori della nuova società
La strategia annunciata dalla nuova compagnia così costituita era ancora una volta colma di errori: prevedeva, infatti, un taglio radicale delle rotte estere e soprattutto di quelle a lungo raggio, settore nel quale la compagnia eccelleva grazie ad una serie di operatori a basso costo. Il piano opposto avrebbe portato certamente più benefici: diminuire le tratte a corto raggio, poiché molto meno competitive a causa dei costi elevati della compagnia (ricordiamo che Alitalia spende circa 6,5 centesimi a km per ciascun passeggero contro i soli 3,5 di Ryanair). Da quelle scelte poco felici passano soltanto cinque anni e la compagnia si ritrova di nuovo a dover fare i conti con un probabile fallimento. Nel 2013 ci prova Etihad a rilevare Alitalia, ma anche questo tentativo fallisce miseramente. Se in passato Alitalia non era stato un esempio di capacità manageriali, Ethiad non ha saputo fare meglio e, malgrado le enormi capacità economiche della compagnia con sede ad Abu Dhabi, i risultati non sono stati migliori. Del resto Ethiad fece un grosso buco nell'acqua anche ai tempi dell'acquisto di Air Berlin. Dopo i recenti scivoloni, la quota Alitalia é in caduta libera, essendo passata dal 50 al 18%. Inoltre, c'è da fare i conti con il low cost: oltre il 50% delle rotte di Alitalia si sovrappongono a quelle di Ryanair ed Easyjet, che offrono voli identici a costi molto più bassi. La chiave di volta sembra ancora una volta rappresentata dai voli a lungo raggio, ma presto, anche queste tratte saranno aggredite dalla politica low cost. Ad oggi, le uniche speranze sono rappresentate da una futura partnership con Lufthansa.